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Ikea, dietro la tanto pubblicizzata «democratizzazione del design» c’è una realtà delle relazioni di lavoro molto meno glamour. Ieri, si è aperto a Versailles un processo contro 15 persone, dieci responsabili di Ikea tra cui 3 ex direttori di centri di vendita (Franconville, Reims, Avignone) e 5 poliziotti o ex poliziotti, accusati di schedature illegali di dipendenti, di «raccolta di dati di carattere personale in uno schedario, attraverso mezzi fraudolenti». Al processo saranno sentiti anche due ex direttori di Ikea France, tra il 2009 e il 2012, che però finora hanno sempre smentito di essere al corrente di queste pratiche e tanto meno di averle richieste. Gli imputati rischiano fino a 10 anni di carcere per i responsabili di Ikea, 5 anni per i poliziotti che hanno collaborato alle schedature e la società di mobili svedese una multa di 3,75 milioni di euro. Sul banco degli accusati anche un ex direttore finanziario di

Maggiori tutele per la privacy di conducenti e passeggeri delle auto connesse, trasparenza e sicurezza per i dati personali trattati dagli assistenti vocali sempre più usati da privati e imprese. Il Comitato europeo per la protezione dei dati (Edpb), ai cui lavori partecipa attivamente anche il Garante italiano, ha adottato specifiche linee guida per produttori e utilizzatori di tecnologie divenute ormai di uso quotidiano. Le linee guida sulle auto connesse – praticamente tutti i veicoli di nuova generazione collegati in rete o tra di loro – sono state adottate definitivamente dopo un anno di lavoro, con il recepimento di alcune delle modifiche proposte nel corso della consultazione pubblica avviata a febbraio del 2020. I Garanti europei chiedono all’industria automobilistica e a tutte le società coinvolte nella produzione e nello sviluppo di servizi per automobili intelligenti di procedere nel rispetto dei principi di privacy-by-design e di privacy-by-default, in modo che gli apparati raccolgano

Rilasciato il nuovo aggiornamento del NextwarePro, il sistema di gestione sviluppato per il Non Profit e con il Non Profit. Visualizzazione schede contabili: E’ stata inserita la colonna che espone la sezione.   Ricerca voci riclassificate: La ricerca delle voci riclassificate che si esegue dal form di prima nota è stata modificata in modo tale da esporre, oltre alla griglia, l’albero della riclassificazione; la selezione può essere eseguita indifferentemente dall’albero e/o dalla griglia; il codice alfanumerico della riclassificazione viene esposto nella griglia di prima nota:   Ricerca parametrica iscritti/soci: E’ stata aggiunta un’ulteriore scheda nella quale possono essere impostati i filtri relativi ai dati aggiuntivi dei soci/iscritti.   Chiusura contabile dei progetti: E’ stata implementata questa nuova funzione tramite la quale è possibile generare le scritture di chiusura dei progetti. Il saldo risultante tra proventi ed oneri viene utilizzato per generare la scrittura in contabilità economico-patrimoniale e viene inserito anche in contabilità analita nel progetto ed a seguito

L’apparente facilità, ormai improprio sinonimo di velocità, di utilizzo degli apparecchi e dei servizi elettronici è un insidioso trabocchetto. Ci vuole un consapevole controllo dei mezzi e non un acritico e ingenuo affidamento a tutto ciò che la tecnica produce. L’avviso, di valenza trasversale e poco incline ad accodarsi al compiacimento generale ed aprioristico per ogni novità digital-informatica, è il buon senso della predica inutile ed è il monito che sarà ricordato solo a incidente subito. Questo è anche il senso dell’invocazione di precauzioni a riguardo delle comunicazioni elettroniche in azienda, tra dipendenti, tra personale e clienti e da fornitori ad addetti e così via. La apparente facilità/velocità di utilizzo deriva dalla sensazione di controllo diretto frutto della disponibilità nelle proprie mani di un apparecchio così piccolo, che pare contenere tutto. E più è piccolo l’apparecchio più la sensazione di potenza aumenta l’autostima e la convinzione di poter controllare ogni cosa. Ovviamente non

Secondo uno studio condotto da OpenText per indagare il rapporto degli utenti con le aziende in materia di privacy dei dati, oltre la metà degli italiani (56%) sarebbe disposta a spendere di più pur di affidarsi ad aziende che offrono una maggiore protezione dei dati personali, superando così inglesi (49%), tedeschi (41%), spagnoli (36%) e francesi (17%). La ricerca evidenzia che gli italiani fanno ancora fatica a fidarsi del tutto dei metodi di gestione dei dati personali: più di 1 su 4 (26%) diffida infatti della capacità da parte delle aziende di mantenere le informazioni private e al sicuro, mentre addirittura quasi la metà (48%) ritiene che solo alcune realtà possano essere considerate davvero affidabili. Nonostante gli standard imposti dalle normative in materia di data privacy si stiano facendo sempre più rigidi in tutto il mondo – anche grazie all’introduzione nell’Unione Europea, già dal 2018, del Regolamento Generale sulla Protezione dei

Il 75% dei dipendenti utilizza WhatsApp o altre app di messaggistica istantanea e software di videoconferenza online come Teams e Zoom per condividere dati sensibili, e il 71% di essi ammette di usare queste applicazioni per inviare informazioni critiche riguardanti l’azienda per cui lavora. Per questo, quasi un terzo (30%) degli impiegati è stato già ammonito dai propri responsabili dopo aver inviato tali dati confidenziali tramite canali non consentiti dalle procedure interne. Tra le informazioni scambiate tramite queste applicazioni vi sono password aziendali, dettagli delle carte di credito, dati dei clienti e piani strategici, informazioni bancarie e salariali, e persino risultati dei test Covid-19 dei dipendenti con relativi dettagli medici. Questo è il preoccupante quadro che emerge da uno studio condotto da Veritas Technologies, leader nella produzione di soluzioni tecnologiche per la protezione dei dati a livello globale, che ha intervistato 12.500 colletti bianchi che lavorano in varie nazioni d’Europa, in Medio Oriente,

Il Garante per la privacy ha ordinato al Mise il pagamento di una sanzione di 75mila euro per non avere nominato il Responsabile della protezione dati (Rpd) entro il 28 maggio 2018, data di piena applicazione del Gdpr, e avere diffuso sul sito web istituzionale informazioni personali di oltre 5mila manager. Per la prima volta l’Autorità ha sanzionato una Pa per non avere designato il Rdp entro il termine stabilito ed avere provveduto alla nomina e alla comunicazione al Garante dei dati di contatto con notevole ritardo. Ciò nonostante il Garante avesse, fin dal maggio 2017, avviato una articolata attività informativa rivolta a tutti i Ministeri, indicando proprio la nomina del Rpd tra le priorità da tenere in considerazione nel percorso di adeguamento al nuovo quadro giuridico del Regolamento. La mancata nomina, è emersa nel corso di una istruttoria, aperta dall’Ufficio anche a seguito di alcune segnalazioni, con la quale è stata accertata la

Mancata definizione dei criteri per trattare i dati di determinate categorie di richiedenti il “bonus covid”, uso di informazioni non necessarie rispetto alle finalità di controllo, ricorso a dati non corretti o incompleti, inadeguata valutazione dei rischi per la privacy. Con queste motivazioni, il Garante per la protezione dati personali ha ordinato all’Inps il pagamento di una sanzione di 300 mila euro in relazione alle violazioni commesse nell’ambito degli accertamenti antifrode effettuati dall’Istituto riguardo al “bonus Covid” per le partite iva. L’istruttoria del Garante era stata avviata nel mese di agosto, in seguito a notizie di stampa, riguardo al trattamento, da parte dell’Istituto, dei dati dei richiedenti che ricoprono cariche politiche (nello specifico, incarichi di parlamentare o di amministratore regionale o locale). Nel corso degli accertamenti l’Autorità, pur riconoscendo che lo svolgimento dei controlli sulla sussistenza dei requisiti previsti dalla legge per l’erogazione del bonus è riconducibile a compiti di interesse pubblico rilevante, ha riscontrato

Un devastante incendio verificatosi a Strasburgo ha distrutto uno dei datacenter più grandi d’Europa, quello di proprietà di Ovh, azienda di web hosting leader nel settore con 1,5 milioni di clienti nel mondo. Nella notte tra il 9 e il 10 marzo la società francese ha comunicato che le fiamme avevano colpito tre dei quattro edifici di sua proprietà. Anche se fortunatamente non ci sono state vittime, centinaia di siti sono andati in tilt, compresi anche molti di aziende e ed italiani che evidentemente si appoggiavano ai server ospitati negli edifici andati a fuoco. Come ha raccomandato su Twitter lo stesso fondatore della Ovh, Octave Klaba, mentre l’azienda sta lavorando incessantemente per cercare di riattivare i server negli edifici andati a fuoco, i clienti sono invitati ad "attivare il Disaster Recovery Plan per la salvaguardia dei propri dati”, facendo temere che chi invece non avesse previsto una tale procedura per il recupero

Contro il revenge porn, una delle forme più odiose di violenza sulle donne e più, in generale, contro la pornografia non consensuale, il Garante per la protezione dei dati personali ha deciso di mettere a disposizione sul proprio sito un canale di emergenza. Le persone che temono che le loro foto o i loro video intimi possano essere diffusi senza il loro consenso su Facebook o Instagram, potranno segnalare questo rischio e ottenere che le immagini vengano bloccate. Il canale di segnalazione preventiva è quello attivato lo scorso anno in Italia, come programma pilota, da Facebook e che è stato accessibile fino ad ora nel nostro Paese solo attraverso una associazione no profit. Dall’8 marzo le persone maggiorenni che temono che le proprie immagini intime, presenti in foto e video, vengano condivise, potranno dunque rivolgersi al Garante Privacy, consultando la pagina dedicata sul sito dell'Autorità per segnalarne l’esistenza in modo sicuro e