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Sanzionato il militare che parla male dei colleghi su WhatsApp

Giusta la sanzione disciplinare al militare che condivide con un collega una serie di messaggi di whatsapp con i quali critica e parla male di altri ufficiali. Lo stabilisce il Tar Sardegna con la sentenza del 14 marzo scorso n. 174.

Sanzione al militare che con whatsapp parla male di colleghi e attività

La vicenda – Il rimprovero scritto era scattato quando l’amministrazione era venuta a sapere che il tenente colonnello, conversando attraverso messaggi istantanei con un altro ufficiale di grado inferiore, commentava e valutava in modo negativo l’operato di ufficiali superiori e la sua condizione di servizio, minando il clima organizzativo e la serenità del personale.

Il procedimento disciplinare – Contro il procedimento il militare aveva sollevato vari motivi di appello, dall’eccesso di potere per difetto di istruttoria e illogicità manifesta alla violazione del giusto procedimento, ma il punto sul quale la difesa si è più concentrata è quello della natura della conversazione: comunicazioni private, scambiate al di fuori di chat di lavoro o ufficiali, sulle quali non si sa come il Comando ne fosse venuto a conoscenza.

In sostanza – basandosi anche su un precedente della Corte di cassazione – secondo il ricorrente la comunicazione tra lui e la collega non poteva essere utilizzata dall’amministrazione al fine di fondare la contestazione disciplinare, in quanto «i messaggi che circolano attraverso le nuove “forme di comunicazione”, ove inoltrati non ad una moltitudine indistinta di persone ma unicamente agli iscritti ad un determinato gruppo, come appunto nelle chat private o chiuse, devono essere considerati alla stregua della corrispondenza privata, chiusa e inviolabile, quindi sono inidonei a realizzare una condotta diffamatoria in quanto, ove la comunicazione con più persone avvenga in un ambito riservato, non solo vi è un interesse contrario alla divulgazione, anche colposa, dei fatti e delle notizie, ma si impone l’esigenza di tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni stesse».

La decisione del Tar Sardegna – Una tesi però bocciata dai giudici amministrativi , prima di tutto perché la sanzione adottata riguarda l’ambito dell’ordinamento militare. In questo contesto infatti su messaggi così, pur non contenenti affermazioni “gravi”, non è manifestamente illogico o irragionevole che si possa fondare una valutazione di rilevanza disciplinare, essendo affermazioni di tenore comunque negativo rispetto alla attività svolte da un ufficiale di grado superiore e alla conseguente condizione di lavoro nella sede; inoltre per quanto riguarda la sanzione del “rimprovero”, questa si inserisce nell’ambito degli atti disciplinari di corpo ex art. 1358 Codice dell’Ordinamento Militare quale sanzione con cui «sono punite le lievi trasgressioni alle norme della disciplina e del servizio».

Pertanto, secondo il Tar, una volta che il Comando è venuto a conoscenza dello scambio via whatsapp, reso pubblico dall’altro interlocutore, non poteva non tenerne conto.

In secondo luogo, dal punto di vista della giurisprudenza amministrativa, «la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento» . Tutti profili di illegittimità non presenti in questa situazione.

Infine, le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all’Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l’infrazione e il fatto, il quale ha rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità.

Articolo ripreso da: Federprivacy.org