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L’80% delle informazioni sulla privacy delle app pubblicate sul Play Store sono false o ingannevoli

Gli esperti in materia di privacy consigliano spesso gli utenti di leggere bene le informative sul trattamento di dati personali prima di scaricare una app, ma neanche essere scrupolosi può essere sufficiente se un’applicazione mente dichiarando di fare una cosa e poi invece ne fa un’altra.

E a quanto pare non si tratta di casi rari, bensì di un fenomeno diffuso e preoccupante, perché stando a quando è risultato da un’analisi effettuata dal gruppo “Privacy Not Included” di Mozilla, ben l’80% delle “etichette” che spiegano in sintesi i trattamenti di dati personali effettuati da una app sono false o ingannevoli.

In tanti casi, le etichette per la privacy delle applicazioni disponibili sul Play Store di Android non sono infatti allineate alle informative pubblicate dagli sviluppatori sui rispettivi siti web.

E il problema non riguarda app sconosciute, perché i ricercatori hanno analizzato le 20 applicazioni gratuite più scaricate dagli utenti, come TikTok, Facebook, Minecraft, e sorprende il fatto che molte app tra quelle esaminate, come YouTube, Google Maps e Gmail, sono prodotte dallo stesso Google che gestisce il Play Store.

Come si legge nel comunicato stampa della Fondazione Mozilla con cui il gruppo “Privacy Not Included” presenta lo studio, di conseguenza “i ricercatori hanno concluso che il sistema dell’etichetta riepilogativa manca l’obiettivo di aiutare i consumatori a effettuare scelte più consapevoli riguardo la loro privacy prima di acquistare o scaricare una delle 2,7 miliardi di app sullo store“.

Le app del Play Store "mentono": sulla privacy dicono una cosa, ma ne fanno un'altra

Nello svolgimento dello studio i ricercatori hanno suddiviso le app esaminate in tre categorie sulla base di quanto ciascuna etichetta esposta nella rispettiva pagina del Play Store fosse coerente con quanto poi effettivamente dichiarato sulla propria informativa sulla privacy, inserendo anche il grado di miglioramento eventualmente necessario, come “basso“, “ok“, oppure “da migliorare”.

In app come Minecraft, Twitter e Facebook sono state rilevate “discrepanze importanti” in merito a quali tipologie di dati vengono raccolti e come sono usati, e perciò queste sono state bocciate e classificate come livello “basso”, e complessivamente il 40% delle applicazioni esaminate rientra in questa categoria. Invece, un altro 37,5% delle app, comprese quelle di YouTube, Google Maps, Gmail, WhatsApp e Instagram non hanno superato del tutto l’esame e sono state “rimandate” con i compiti da fare a casa, etichettate come da migliorare”.

Infine il restante 15%, fra cui Candy Crush Saga, Google Play Games e Subway Surfers, seppure con discrepanze minori, sono state comunque promosse e classificate come “ok”, ovvero dotate di un’etichetta “molto allineata” all’informativa privacy dello sviluppatore.

Delle 20 app a pagamento più popolari, solo tre hanno ricevuto un grado “ok”, e lo stesso vale per le 20 applicazioni gratuite più popolari.

Il problema più evidenziato dai ricercatori di “Privacy Not Included” riguarda il fatto che alcune app, come Snapchat, Twitter e TikTok, indicano che non condividono i dati personali degli utenti con terze parti, ma se si va a leggere la loro informativa della privacy ammettono che in realtà i dati i li condividono eccome.

Articolo ripreso da FederPrivacy