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Whistleblowing, In vigore le nuove regole per le grandi aziende

E’ entrato in vigore il  (15 luglio 2023 del dlgs. n.24/2023), che dà attuazione alla direttiva (Ue) 2019/1937 in materia di whistleblowing, fatto salvo il termine più ampio del 17 dicembre 2023 per i soggetti del settore privato che abbiano impiegato fino a 249 lavoratori nell’ultimo anno.

Dal 15 luglio in vigore la norma che protegge le persone che segnalano violazioni sul lavoro

La nuova normativa, che racchiude in un unico testo la disciplina del settore pubblico e privato, ha definito in maniera organica un complesso regime di obblighi e tutele che ampliano le garanzie per i «segnalanti» (e le persone legate al whistleblower da stabili rapporti affettivi o di parentela entro il quarto grado, nonché ai c.d. «facilitatori» e agli enti di proprietà di tutti questi soggetti), al fine di incentivare il sistema di segnalazione che pregiudichi l’integrità dell’ente o l’interesse pubblico.

In questo scenario si colloca l’iniziativa dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato che ha introdotto una propria piattaforma di Whistleblowing da dove le persone in possesso di informazioni riservate su violazioni della concorrenza potranno interfacciarsi con gli uffici istruttori senza dover rivelare la propria identità. La piattaforma, attraverso un sistema criptato, garantisce al segnalante che voglia rimanere anonimo la possibilità di instaurare un filo diretto con l’Autorità inviando informazioni in merito a una condotta anticoncorrenziale, alle circostanze che l’hanno prodotta e alle persone coinvolte.

Insomma, per le imprese, e di ritorno gli studi legali, la partita si fa sempre più complessa. «I gruppi multinazionali si stanno predisponendo ad aggiornare i propri sistemi whistleblowing conciliando la nuova normativa con esigenze interne di efficienza e temi cross-border; l’affinamento dei sistemi di segnalazione elettronici richiede conoscenza accurata delle tecnologie disponibili sul mercato – tema al momento prioritario per le aziende – e di quali soluzioni siano migliori e più adatte per l’organizzazione aziendale di riferimento; è in corso di formazione una best practice su come ottimizzare la scelta di chi debba essere costituito destinatario delle segnalazioni», spiega Federico Busatta, partner del dipartimento contenzioso e arbitrati dello studio legale Gianni & Origoni. «Le sanzioni per definizione fanno paura ma le società italiane sono resilienti e si sono predisposte o si stanno predisponendo ad attrezzare i propri sistemi di compliance in ragione della nuova disciplina in tema di Whistleblowing (che ha tra l’altro avuto una lunga incubazione e una più che significativa copertura stampa).

Tutto ciò incoraggia a pensare che l’applicazione di sanzioni in questo settore sia destinata a essere una eccezione. Si tratta di uno strumento che ha lo scopo di elevare le garanzie nell’applicazione di una normativa, provvedendo una definizione preventiva di ciò che è rilevante, ma il limite della rigidità, soprattutto in un ambito (quale la compliance) dove i rischi e le condotte rilevanti sono in continua evoluzione.»

Secondo Alessandro Musella, partner e leader del Focus Team corporate compliance & investigations di Bonelli Erede, «gli adempimenti a carico delle aziende sono significativi e molte non sembrano avere una struttura interna adeguata a farvi fronte. I più complessi da attuare, soprattutto per le aziende di minori dimensioni, sono la necessità di attivare canali di segnalazione che devono garantire il requisito di protezione dell’identità del segnalante e di avere una persona o ufficio interno che sia autonomo, dedicato, con personale specificamente formato oppure affidare la gestione a una persona o un ufficio esterno che garantisca i medesimi requisiti.

Quanto alle sanzioni dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), si tratta di sanzioni di tipo amministrativo che variano dai 10.000 ai 50.000 euro e che si applicano se non sono stati istituiti canali di segnalazione conformi ai requisiti del decreto o non sono state adottate le procedure indicate dal decreto.

Tuttavia il vero rischio per le società che non implementano un sistema di segnalazione conforme ai requisiti è quello di subire segnalazioni «pubbliche», cioè indirizzate direttamente all’Anac (che poi può attivare indagini sull’azienda) o addirittura segnalazioni oggetto di «divulgazione pubblica» secondo le modalità previste dal decreto. Il decreto, seguendo la direttiva comunitaria, ha ampliato la tassonomia delle violazioni segnalabili. Questo ampliamento può essere letto positivamente nella misura in cui si ritiene che il whistleblowing sia uno strumento utile per il presidio della legalità.

Dal punto di vista organizzativo, la dilatazione delle fattispecie denunciabili rende difficile ipotizzare una gestione delle segnalazioni affidata unicamente agli Organismi di Vigilanza 231, perchè una parte importante delle violazioni segnalabili non rientrano nel perimetro della 231 e non sono di competenza di questo organismo».

«Dal punto di vista dell’enforcement pubblicistico della normativa antitrust, lo strumento del whistleblowing senz’altro agevola la lotta ai cartelli, particolarmente difficili da rilevare a causa della loro natura segreta, ponendo l’Antitrust direttamente in contatto con coloro che intendano segnalare l’esistenza di condotte illecite da parte dell’impresa di cui sono dipendenti o con cui collaborano», dice Davide Cacchioli, Equity Partner dello Studio Pedersoli. «Un aspetto delicato riguarda l’uso che l’Agcm farà delle informazioni acquisite attraverso questo strumento di detection. Infatti, tanto l’affidabilità delle informazioni trasmesse, quanto l’attendibilità del segnalante, dovranno essere valutate con estrema cautela. Non sempre il segnalante ha piena consapevolezza della normativa a tutela della concorrenza e dei limiti che essa pone all’impresa. Non escludo quindi che possa esservi un alto tasso di «falsi positivi». Inoltre, il segnalante potrebbe essere mosso da interessi personali ed è quindi necessario che sia accertata la sua buona fede e la ragionevolezza dei sospetti sulla base dei quali la segnalazione è stata presentata. Le imprese meno attente ai temi della compliance adotteranno la strategia dello struzzo, magari nella legittima convinzione di non aver nulla da temere. In questa fase, pertanto, la maggiore complessità per i legali è rappresentare come i costi di una risposta strutturata al problema siano ampiamente giustificati alla luce dei vantaggi che l’impresa ne ricaverebbe in caso di emersione di una condotta illecita».

«Società parti di grandi strutture estere, dotate di policy a livello globale, devono adeguarsi ai nuovi obblighi in materia di whistleblowing, ad esempio sulle tempistiche dettate dal Decreto, dovendo allo stesso tempo restare coerenti con le procedure implementate a livello globale» spiega Marilena Hyeraci, of counsel dello studio Chiomenti.

«L’adozione del c.d. «whistleblowing antitrust» è una novità che – se sarà ben sfruttata – potrà essere di grande aiuto per la scoperta delle violazioni della normativa a tutela della concorrenza. Anche dal punto di vista della tutela della riservatezza, il sistema sembrerebbe in linea con lo spirito del Decreto, improntato sulla tutela dell’anonimato dei segnalanti. L’Italia non ha una cultura del «whistleblowing» e sarà dunque interessante monitorare l’utilizzo che se ne farà nei prossimi anni per comprenderne la reale efficacia ed utilità. Il potere sanzionatorio dell’Anac è, di fatto, meno incisivo di quanto possa sembrare. Ai sensi del Decreto, infatti, la sola Autorità competente ad assicurare l’effettiva tutela dei segnalanti è l’Autorità giudiziaria. Peraltro, la misura della sanzione che l’Anac può irrogare non é nemmeno particolarmente incisiva. La tipizzazione delle condotte è un’arma a doppio taglio. Se da un lato si apprezza la scelta del legislatore di fare chiarezza, dall’altro lato si incorre nel rischio di dover rivedere le scelte fatte in sede legislativa con l’evolversi dei tempi e l’emergere di nuove modalità con cui le violazioni potranno essere commesse.»

«Anche l’Antitrust, seguendo il modello della Commissione europea e di altre autorità nazionali della concorrenza, ha finalmente introdotto una propria piattaforma per le segnalazioni whistleblowing grazie alla quale coloro che sono in possesso di informazioni riservate su violazioni della normativa a tutela della concorrenza potranno contattare l’Autorità in totale anonimato, attraverso un sistema di messagistica criptato da una società intermediaria specializzata», commenta Jacopo Fronticelli Baldelli associate dello Studio Lipani Catricalà & Partners. «Si tratta di una novità importante nel contesto nazionale in cui i fenomeni collusivi si esplicano attraverso modalità articolate e di difficile identificazione, molto spesso con gravi ripercussioni in ambito concorrenziale. Il consolidamento della legalità costituisce, infatti, il presupposto necessario per garantire una migliore efficienza e concorrenza in tutti quei settori, come ad esempio quello degli appalti pubblici, nell’ambito dei quali l’Agcm è chiamata ad intervenire con sempre maggior frequenza per arginare azioni che pregiudicano gli interessi di soggetti pubblici e (quindi) dell’intera collettività da essi rappresentati. In quest’ottica, la piattaforma dell’Autorità permetterà di intensificare la lotta contro i comportamenti lesivi della concorrenza e, allo stesso tempo, di tutelare quei segnalanti che, in considerazione della loro vicinanza ai cartellisti, rinunciano a far valere il diritto ad una sana concorrenza e a subire passivamente la pratica anti competitiva, ritenendola paradossalmente meno dannosa di una eventuale ritorsione ai loro danni.»

«Il pregio della nuova disposizione normativa è principalmente quello di offrire un approccio unitario al fenomeno in esame, che consenta all’interprete di orientarsi sulla base di criteri analoghi sia per il settore pubblico che per quello privato», dicono Vincenzo Colarocco e Marta Cogode dello Studio Previti. «Maggiori difficoltà interpretative, allo stato attuale della disciplina e in attesa di eventuali chiarimenti da parte delle Autorità, emergono nei punti di contatto con il modello di gestione 231. Nello specifico, la scelta di deferire la gestione delle segnalazioni ad un ufficio interno lascia irrisolto il problema del raccordo tra l’ufficio «gestore» della segnalazione e l’OdV, che non può rimanere totalmente escluso dalla notizia circa l’invio di una segnalazione, la sua indagine e la relativa conclusione, soprattutto quando questa riguardi condotte rilevanti ai sensi del d.lgs. 231/2001 o evidenzi una o più violazioni del Modello organizzativo. Tra le problematiche più complesse ed impellenti vi è, in primo luogo, l’adempimento relativo all’attivazione del canale interno, per il quale assume rilevanza fondamentale una corretta valutazione circa le misure di sicurezza idonee a garantire la riservatezza dell’identità del segnalante e del segnalato, nonché il contenuto della segnalazione. Il tema solleva evidenti punti di contatto con la disciplina in materia di protezione dei dati personali, per cui, in ottica del principio di accountability e di privacy by design, il datore di lavoro dovrà, non solo procedere con il compimento di una valutazione del rischio (cd. «DPIA» dall’inglese: Data Protection Impact Assessment) di cui all’art. 35 del Gdpr, ma anche mettere in atto misure tecniche e organizzative adeguate per garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio già nella fase di progettazione.»

Per Rodolfo Mignone, associate di Mondini Bonora Ginevra Studio Legale, «il dlgs 10 marzo 2023 n. 24 ha il pregio, tra le novità di maggior rilievo, di estendere significativamente il perimetro di applicazione obbligatoria della disciplina del whistleblowing ai soggetti che nel corso dell’ultimo anno hanno impiegato una media di almeno 50 lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato. Si tratta pertanto di un ulteriore passo in avanti nel processo di adeguamento da parte del nostro sistema normativo verso lo standard imposto dall’Unione Europea in materia di tutela dei c.d. «whistleblowers». La nostra esperienza ci evidenzia che le problematiche generalizzate di maggior rilievo riguardano prevalentemente gli aspetti organizzativi connessi con la necessità di individuare idonee funzioni aziendali interne ovvero incaricati esterni competenti ai quali affidare il compito di ricevere e «lavorare» le eventuali segnalazioni di illeciti e di implementare un sistema di canali di comunicazione (anche informatici) attraverso i quali veicolare le segnalazioni stesse ai soggetti preposti nel rispetto della riservatezza del soggetto segnalante. Si tratta di attività che comportano per l’azienda un impegno in primo luogo culturale e quindi di risorse da investire, impattando conseguentemente anche sulla marginalità operativa delle stesse. Avendo noi la fortuna di operare con aziende di adeguata dimensione e strutturate, le segnalazioni stesse vengono processate con la dovuta serietà ed attenzione ed i casi di comportamenti ritorsivi nei confronti del segnalante sono assolutamente marginali e tendenzialmente «bloccati» sul nascere. Non neghiamo, però, che in realtà di minor dimensione una tutela specifica del segnalante possa avere un motivo di essere ed in tal senso la nuova disciplina di cui al D.Lgs. 10 marzo 2023 n. 24 attuativo della Direttiva (UE) 2019/1937, che interessa soggetti che fino ad oggi non rientravano nella sfera di applicabilità del whistleblowing, può certamente rafforzare la sensibilità delle aziende su questo tema specifico.»

«L’individuazione del soggetto interno a cui attribuire la responsabilità della gestione delle segnalazioni rappresenta l’argomento più dibattuto nelle aziende che non hanno una struttura organizzativa complessa. In tali realtà l’esternalizzazione a terze parti indipendenti e specializzate della gestione delle segnalazioni sembra la soluzione maggiormente praticata», commentano Marcello Fumagalli, partner di BDO Advisory Services ed Alessio Buonaiuto, senior manager BDO Law e Head of labour law. «Le sanzioni in sé, sulla carta, sembrano essere efficaci. Infatti, è anche grazie all’applicazione delle stesse, che l’Anac può svolgere in maniera efficace il proprio ruolo di garante delle disposizioni del decreto, sia con riferimento alle procedure di segnalazione che in relazione alla tutela del segnalante. Tali sanzioni, infatti, possono rivelarsi estremamente funzionali da un lato a promuovere l’istituzione di canali di segnalazione e l’adozione di procedure per la gestione delle stesse, dall’altro a reprimere le condotte ritorsive o di ostacolo alla segnalazione, nonché la violazione degli obblighi di riservatezza. Piuttosto, la sussistenza dell’inversione dell’onere probatorio in capo al datore di lavoro, secondo uno schema assimilabile a quello applicato al lavoratore in caso di licenziamento discriminatorio, implica che, da oggi in poi, ogni azienda dovrà avere cura monitorare attentamente la vita sociale dei propri dipendenti (in senso verticale e orizzontale), onde evitare contenziosi con carichi probatori di non facile articolazione. Parimenti, anche in virtù di quanto recentemente introdotto dalla c.d. Riforma Cartabia in materia di giudizi concernenti licenziamenti discriminatori, non è chiaro se il licenziamento afferente al whistleblower possa giovare di detta procedura semplificata, attesa in ogni caso la nullità del provvedimento espulsivo intimato.»

Infine per Luca Daffra senior partner di Ichino Brugnatelli e Associati, «è difficile dare un giudizio sulla novella del 2023 e, più in generale, sulla normativa in materia: dalla sua introduzione con la Legge Severino (l.190/2012), difatti, l’applicazione giudiziale della normativa in materia è stata pressoché nulla. Appare invece sicuramente «propizio» il momento di emanazione del d.lgs. 24/2023: difatti, l’ennesima revisione del d.lgs. 50/2016 (il cd. codice degli appalti pubblici) e la parziale deregolamentazione degli affidamenti saranno senz’altro un interessante banco di prova per la nuova disciplina. A parte le singole segnalazioni, trovo che quando si parla di whistleblowing con i clienti siano due gli aspetti più delicati. Il primo, quello di presentare la disciplina in termini pratici e concreti per evitare che la stessa venga percepita dai non addetti ai lavori come l’ennesimo obbligo burocratico. Anzi, è importante ricordare che un funzionale raccordo tra «modello 231», registri in materia di data protection e canali per il whistleblowing sono elementi fondamentali per tutelare non solo i diritti dei singoli dipendenti, ma anche per evitare di esporre amministratori e il management a rischi inutili. Il secondo, invece, riguarda direttamente la collaborazione con i vari gestori del canale di segnalazione, dato che è fondamentale – anche per i rischi in materia di privacy – svolgere un corretto screening delle condotte segnalate, oltre che valutarne la loro qualificazione giuridica. L’elenco delle condotte «ritorsive» di cui all’art. 17 d.lgs. 24/2023, per quanto dettagliato, mi pare abbia più con valore esemplificativo e presuntivo, senza pretese di esaustività e tassatività.»

Articolo ripreso da FederPrivacy